Bacon, Freud e quella contemporaneità antica Scrissi d'arte

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C’è una mostra a Roma dove, meglio che altrove, si può capire cos’è successo nella storia dell’arte dell’ultimo secolo e cosa passa alla cruna del XXI. È il Chiostro del Bramante, e la mostra è Freud, Bacon, la scuola di Londra. Una cinquantina d’opere selezionate dalla Tate a cura di Elena Crippa, catalogo Skira. Un compendio dell’arte inglese in formato ridotto, attraverso le opere di sei protagonisti di mezzo secolo di pittura. Anche se, diciamolo subito, la definizione di scuola di Londra appare piuttosto velleitaria, apposizione postuma e posticcia messa a far volume all’accoppiata Bacon & Freud. Al netto di certe consuetudini curatoriali, e di criteri espositivi che non possono dirsi dirompenti, pure la mostra è una tappa d’obbligo per chi voglia bearsi d’arte tra le architetture del Bramante.

Prendiamo la coppia di punta, quel duo d’amici – amanti, secondo taluni, e poco importa – che ha segnato la storia dell’arte inglese e moderna. Moderna e non contemporanea per una ragione che va al di là del dato anagrafico, ma non anticipiamo. Francis Bacon: un mostro sacro; Lucian Freud: poco meno. Gli altri messi lì a far mazzo, checché se ne dica, e gratificare la collezione della gallery londinese. Alcuni con esiti piacevoli, folcloristici & anacronistici come la portoghese Rego o il tedesco Auerbach, ma tutti di contorno alla scarna pietanza, all’accoppiata vincente d’amanti-amici. Freud con le sue pennellate pastose, i nudi maschili crudi e non deprivati della loro bruttezza, del loro umano squallore. Bacon con le sue figure cancellate strappate, i tratti deformi e scomposti, claustrofobici e disturbanti, a rappresentare un disordine materiale e morale che nessuna gabbia o linea figurativa può ricomporre. Maestri del dissoluto oltre che del pennello, seppero imporsi all’attenzione della critica del tempo, a noi, farsi incubi e succubi.

Il cane che s’agita e torce sul lungomare di Montecarlo – mica Reggio – in “Study of a dog” pare trascinarci con sé nella sua rabbiosa follia; il pene cancellato sul corpo dell’amante ritratto in “Reclining woman”, fattosi donna a blandire la femminilità anelata più che l’omosessualità data, stanno lì a raccontare la storia d’una mondo che s’è fatto altro, s’è fatto loro ben oltre l’arte. Capaci di precorrere lo spirito dei tempi, come solo i veri artisti sanno fare, sono icone del loro tempo. E del nostro, che di quelle cancellature penistiche irride perché non c’è più nessun bobby a irrompere in galleria, nessun padre a cacciare di casa il figlio colto a specchiarsi in abiti materni. Nel tempo del precariato totale e del nuovo ordine erotico, della precarietà e pansessualità spacciate come progresso e liberazione dal pensiero unico, tali precursori restano geni iconici. Neanche più dirompenti perché non più scandalosi. Lo scandalo s’è tramutato in solido mancorrente e gusto dominante.

Ma non è qui il punto della loro non più contemporaneità. Sono e restano icone – più Bacon che Freud, in verità – ma icone d’un mondo deprivato di senso. Dove l’arte non è più via di scampo ai malatempora correnti. L’arte – né grande né piccola: arte – deve saper gettare lo sguardo e vedere dove altri non vede, punto. Non certo dare la linea o risolvere i guasti. Ma compiacersi del marcio, sguazzarvi per educare all’orrore e anestetizzare il dolore, e nell’insano riporre il nuovo ordine (im)morale, è tutt’altra faccenda. Un’arte che voglia dirsi davvero nuova, contemporanea, deve ripartire daccapo. Restituire senso, e bellezza, e speranza, dopo aver mostrato la nudità del re. Le sue viscere putride. Crogiolarsi in sozzure e brutture oggi è mero servilismo ai poteri di sempre, soggezione alle rendite acquisite e al conformismo culturale dilagante, non più dirompente fuga per la libertà.

Ecco perché la nostra accoppiata di contemporanei resta incagliata in una modernità che sa d’antico. Più antica delle Sibille di raffaelliana impronta visibili dal lounge bar al piano nobile del Chiostro. Ed ecco perché il Chiostro val bene un passaggio. Dopo, all’uscita, si lasci aperta la porta: serve aria nuova. Fino al 23 febbraio; www.chiostrodelbramante.it.

 

Sopra: Bacon, Reclining woman, 1961 e Study of a dog, 1952, copy Tate

In home Freud, foto Nicoletta Zanella 


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