Neanche il tempo d’affossare la fake proof del caso Skripal – che, pare, gode di ritrovata salute con la figlia in quel di Salisbury – che una ben più consistente fake news a base di gas nervino riesplode in Siria, a rischio d’affossarci tutti.
Neanche il tempo d’affossare la fake proof del caso Skripal – che, pare, gode di ritrovata salute con la figlia in quel di Salisbury – che una ben più consistente fake news a base di gas nervino riesplode in Siria, a rischio d’affossarci tutti.
Mosul ultimo atto. Mosul sta per cadere. Scontro finale a Mosul. Sono mesi che la martoriata capitale del Kurdistan iracheno sta lìlì per cascare, nei titoli dei media e nei proclami degli assedianti.
Ebbene sì, ci siamo sbagliati. Pensavamo che a un uomo d’affari – meglio, un affarista – non piacesse la guerra. Anche se gli affari grossi si fanno grazie ai conflitti, quelli certi si fanno con la pace, e l’uomo ci pareva, con tutti suoi difetti, pragmatico quanto basta per non pigiare sul bottone rosso dell’opzione militare.
La sagoma scura del carrarmato campeggia sulla copertina rossa, tra le fumate delle granate, bianche come il titolo: 2017, war with Russia. Sugli scaffali delle librerie londinesi, dov’è appena uscito, fa un bell’effetto, con quei caratteri grandi e un po’ retrò, stile anni ‘70.
L’attesa è finita per una nuova avventura dell’Italia in Libia. Dopo mesi di tira e molla sembra suonata l’ora x per il contingente italiano che dovrà dare una mano per la messa in sicurezza del paese, come tutti fuorché i diretti interessati vogliono.
Ricordate Pacco, doppio pacco e contropaccotto, l’ultimo film di Nanni Loy dove geni della truffa napoletana ne inventano mille e una per gabbare il prossimo? Qualcosa di simile sta accadendo a Mosul, a proposito dell’omonima diga a nord della capitale del califfato d’Iraq.
La Siria è andata al voto per la seconda volta dall’inizio della guerra civile, ma non se ne parla. Quasi cinque milioni di persone hanno votato, sui quasi nove di aventi diritto, in 10 delle 14 province del paese in guerra da cinque anni, eppure la notizia è passata sotto silenzio.
Venerdì scorso, la sera di Bruxelles era attraversata dagli echi di due colonne di sirene.
È tornata una calma apparente a Ben Gardane, dopo un giorno di fuoco e una notte di coprifuoco che hanno lasciato più di cinquanta morti sul terreno. La quiete dopo la tempesta, anche se la bufera è di là da venire, in Tunisia. Col confine libico a un passo, indifeso da una barriera di filo spinato e sabbia.
Da una parte la rappresentante Ue Federica Mogherini e il ministro degli Esteri iraniano Mohammad Zarif che sorridono come novelli sposi in luna di miele. Dall’altra Edward Luttwak, vecchio arnese della falcheria statunitense, che denuncia la resa umiliante.