Cina

Cina

Terzo del ciclo sulle fascinazioni del mito, l’ultimo romanzo della trilogia affronta il rapporto dell’uomo con l’altro da sé, il diverso, e col divino, altro dall’umano per eccellenza. È il 55 aC., Tito Manlio Popilio, un legionario romano proveniente dalla sabina romanizzata, lascia la giovane moglie in preghiera sulla stele di Vacuna e si aggrega alla spedizione in Partia guidata da Crasso. Nel viaggio verso la Persia, via mare, e soprattutto nella successiva peregrinazione nell’estremo Oriente dopo la rotta di Carre, fino allo Yang-Tse, si confronta con una pluralità di popoli e le grandi deità del tempo, fino ai nascenti monoteismi: Jhavè in Palestina, Zoroastro in Iran, Buddha in India e Confucio in Cina. Qui trova l’amore di un’altra donna e la sua vita si troverà a un bivio quando, ormai avanti negli anni, avrà la possibilità di tornare in patria.

Prologo                                                   Mohenjo Daro

Parte prima, Occidente                            SPQR

I                                                                     Roma

II                                                                   Gerusalemme

III                                                                  Carre

Parte seconda, l’Impero di mezzo          ASHKANIAN 

IV                                                                  Seleucia

V                                                                    Babilonia

VI                                                                  Marginia

Parte terza, Oriente                                  ZHONGGUO

VII                                                                Zhizhi

VIII                                                              Luanniao

IX                                                                Chang’An

Epilogo                                                       Thinae

Nota dell’autore  

Ager reatinus, 6 ottobre 55 a. C.

Il ferro fende l’aria terrosa, si cala sulla nuda zolla che compatta ne rimanda l’ombra, prima d’aprirsi. La terra si spacca appena, rimbalza quasi al cielo la lama che l’ha trafitta. Dalla crepa scurosa n’esce viperosa una lucìgnola, ravvoltolando le piccole spire volge la testa che dicono ceca d’attorno, come a cercare la ragione di tanto sturbo, poi striscia sotterra, pochi passi più in là. L’uomo l’osserva lontanarsi immoto silente sotto al sole cocente, nel frinire dei grilli. Aspetta che la madreterra s’ingoj la coda della sua serposa creatura, che l’ultima goccia rivoli giù dalla tempia. Nell’afa gli par di sentire, quasi, per un tempo lunghissimo la goccia cadere, fino alla terra che non vuole saperne d’aprirsi, fecondarsi. Mira la chiazza d’umidore svanire nell’arsura. Solleva la testa al sole, quel poco che può vederne coll’occhi cecati di luce e sudore. Poi, sciuttandosi dalla faccia quel che non bagnerà il suolo, mette la zappa in spalla, piglia l’otre vuoto da sotto la frasca, s’avvia all’erta sotto al sole cocente.

Lei è là, sotto l’olmo, sembra quasi spettarlo, curva, canto l’altare. Pare che preghi. S’avvicina, è proprio così, sente parole sommesse uscirgli di bocca. Quatto e lemme, s’accosta accorto a non fare rumore, come volesse assalirla di spalle. Come fosse un nemico da colpire alla schiena. Dolce, una mano le tocca la spalla, scivola lungo il biancore del collo, si ferma prima di sfiorare il lobo dell’orecchio dove pende una ciocca bruna, a celare un piccolo neo.

«Lidia, che fai?»

Neanche si volta, solo la voce, un soffio nella calura, nel frinire dei grilli.

«Qui farò mettere l’ara. “Pro reditu T. Manlio ex Partia / vovi Vacunae / Lidia Acestia L. V. S. M.” Solo tre righe, bastano. Magari, con qualche asse in più farò scolpire una corona d’allori, una palma»

«Ma che dici?»

«Qui alzerò le stele a Vacuna, perché ti protegga. A lei farò voto, per farti tornare dalla Partia. Perché tu hai già deciso, no?»

Poggia lentamente a terra otre e zappa, ancora più a lento s’accoccola canto a lei fissando quella terra avara, non i suoi occhi corvini, non reggerebbe lo sguardo.

«Ma che dici…»

[…]

Ultimo romanzo del ciclo sulle fascinazioni del mito, Cina trae spunto dalla vicenda, tra storia e leggenda, della legione romana approdata nel paese asiatico, per affrontare il rapporto dell’uomo con l’altro da sé, il diverso, e col divino, altro dall’umano per eccellenza. È il 55 a. C., Tito Manlio Popilio, legionario proveniente dalla Sabina romanizzata, lascia la giovane moglie in preghiera sull’altare di Vacuna e si aggrega alla spedizione in Partia guidata da Crasso. Nel viaggio verso l’Oriente, e soprattutto nella successiva peregrinazione nell’estremo Est, dopo la rotta di Carre, fino a Luanniao e Chang’An, l’antica capitale imperiale cinese, si confronta con una pluralità di popoli e le grandi deità del tempo, dai pantheon politeisti al monoteismo di Jahvè in Palestina, e via via Zoroastro, Buddha e Confucio. Finché, dopo tanti dèi, genti e paesi, in Cina trova l’amore per un’altra donna e la sua vita si trova a un bivio quando, avanti negli anni, ha la possibilità di tornare in patria.

Il viaggio fisico, alla ricerca d’occasioni e denari per una vita migliore, diviene così spirituale, alla cerca d’un possibile dio o d’una verità superiore tra le tante conosciute, ma anche tutto umano, di crescita interiore e consapevolezza del proprio essere. Un percorso che lo porta a confrontarsi con un altro sé, con la figura del padre perso da neonato e della figlia, mai conosciuta. È dunque un viaggio all’interno d’una paternità e figliolanza incompiuta, negata, dell’essere figlio e padre mancato allo stesso tempo, quello affrontato dal protagonista nell’arco di tempo che dalla giovinezza giunge alle soglie della vecchiaia. Un viaggio lungo una vita.

Aprono e chiudono il racconto, il più lineare quanto a scansione cronologica del ciclo, un prologo e un epilogo che marcano una diversa scansione temporale della storia, e della storia del mondo, rivestendole di una luce e d’una alterità ancora maggiore, ancorché ignota all’uomo di ogni tempo, quello come il nostro. Perché questa, l’umana storia, è e resta tutta da conoscere e da raccontare, per chi non s’accontenti delle verità ufficiali come sole ragioni a reggere il mondo e non rinunci a leggere il mito come chiave del vero. Un’altra storia, sconosciuta come noi stessi, nel fondo.