in Belle lettere
Philip Roth, una morte da giganti
Neanche s’è freddata la salma di Philip Roth e già è partito il peana: è morto un gigante della letteratura privato del Nobel.
Neanche s’è freddata la salma di Philip Roth e già è partito il peana: è morto un gigante della letteratura privato del Nobel.
Pittsburgh se la sono litigata un po’ tutti. Giubbe rosse e francesi quando era un ammasso di tronchi, Fort Pitt, sulle sponde dell’Ohio. Pellerossa e trapper.
Per la seconda volta dal 1901 (la prima fu nel ‘35) il Nobel per la letteratura quest’anno non viene assegnato, senza bisogno d’una guerra o d’un cataclisma.
Se n’è andato un grande vecchio. Tra gli ultimi registi dell’immenso cinema italiano, Ermanno Olmi (Bergamo, 1931) se n’è andato quattoquatto, dopo una malattia che l’aveva già segnato negli anni ’80 ed è tornata a riprenderselo nell’ospedale di Asiago, trascinandoselo con la commare secca a 86 anni.
«L’utopia è là nell’orizzonte. Mi avvicino di due passi e si distanzia di due passi. Cammino dieci passi e l’orizzonte corre dieci passi. Per tanto che cammini non la raggiungerò mai».
Una romana a Milano. Anche, un viaggio sentimentale nella città che l’ha vista esordire nella prima personale, all’abbrivio di un sessantennio d’attività.
Neanche il tempo d’affossare la fake proof del caso Skripal – che, pare, gode di ritrovata salute con la figlia in quel di Salisbury – che una ben più consistente fake news a base di gas nervino riesplode in Siria, a rischio d’affossarci tutti.
L’uomo è lì, tronfio e imbolsito, più simile a un pippobaudo che all’icona del duro costruita in un ventennio di potere quasi assoluto. Neppure troppo virile col suo cappuccio di pelliccia nel gelido inverno russo, ma più che mai vincente.
Uno spettro s’aggira per l’Italia. Non è quello del proletariato di marxista memoria, ma del povero Aldo Moro, scomodato e tirato per la giacchetta in occasione d’ogni anniversario.
Diciamolo subito: Loveless è un gran film, durissimo e bellissimo, e se l’avete perso è un gran peccato. Andrej Zvjagincev (o Zvyagintsev, se scopiazzate la traslitterazione anglosassone) si conferma regista puro e duro, e bene ha fatto la giuria dei Golden globe a premiarlo per il suo ultimo lavoro, Neljubov (senza amore, appunto), come già il suo precedente Leviathan, nel 2015.