Dalla parte giusta della storia Qui mondo

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La prima cosa giusta l’ha detta lo speaker del G7 al termine della riunione d’urgenza, quando già i missili fioccavano sull’Ucraina: Putin si è messo dalla parte sbagliata della storia. Poi tutti a sanzionare di brutto il barbaro moscovita. Un’altra cosa giusta l’ha detta Maurizio Molinari, direttore di Repubblica e fine ventriloquo dell’asse Washington-Tel Aviv: la Russia non ha aggredito l’Ucraina ma l’Occidente tutto, la democrazia in toto e, va da sé, la libertà d’ognuno. Poi s’è rimesso la museruola. La terza cosa giusta l’ha detta l’inquilino della Casa Bianca: non un solo soldato per Kiev, se russi e americani si sparano addosso è la Terza guerra mondiale. Peccato non averci pensato prima ma, si sa, l’età e l’alzheimer non aiutano riflessi e memoria. L’ultima cosa giusta l’ha detta, socchiudendo ancor più gli occhi a mandorla, la portavoce del ministro degli Esteri cinese: non può dirsi invasione ciò che si riprende. Poi s’è messa a sfogliare la guida di Taiwan.

Tralasciamo la marea di fregnacce mainstream, i sitin di protesta, l’indignazione a telecomando e gli sproloqui da social, le telefonate a vuoto di Draghila e l’ambaradan del circo mediatico. I peana dei democratici da salotto e dei pennivendoli da battaglia che si stracciano le vesti per la sorte dell’indifesa Ucraina maciullata dai tank russi, già sovietici, con l’elmetto in testa e la vecchina o il peluche insanguinato in primo piano. Dov’erano tanti sinceri democratici prima dell’altra notte, quando la storia s’è messa a girare per un altro verso rispetto a quello rimasto sotto le macerie del muro di Berlino e delle Due torri di New York, un decennio dopo? Perché una cosa è certa, nel bailamme tra le bombe sul terreno e le chiacchiere per il pubblico alla balconata. Come il 9 novembre dell’‘89, come l’11 settembre 2001, anche il 24 febbraio 2022 sarà una di quelle date che dividono la storia: diqua e dilà, un prima e un poi. Ed ora, tra tante cose giuste, cerchiamo di dirne qualcuna sbagliata.

Con una mossa che ha sorpreso tutti, e in primis gli occhiuti servizi d’intelligence atlantici, Putin ha scatenato sull’Ucraina la guerra totale. Gli analisti pensavano che si sarebbe (ri)preso le repubbliche separatiste, al massimo avrebbe mandato qualche Mig a sorvolare Kiev e disturbato un po’ le comunicazioni. Invece l’orso ha sferrato una zampata che nessuno al Pentagono o sul boulevard Leopoldo III, a Bruxelles, sede del quartier generale Nato, aveva previsto. In poche ore l’offensiva di mare cielo e terra ha spazzato via le difese ucraine. Si combatte davvero solo là, come a Mariupol, dove i contingenti islamici e neonazisti che per sei anni hanno massacrato la popolazione filorussa nella guerra civile del Donbass sanno che per loro non c’è scampo o possibilità di resa. Come per l’ex comico Zelensky, da tre anni presidente di un paese che ha contribuito a mandare al macello facendo la voce grossa e mostrandosi forte coi deboli e ora si scopre indifeso e abbandonato dai suoi amici occidentali, asserragliato nella capitale sotto assedio. Putin è stato chiaro: denazifichiamo il paese e leviamo di mezzo la sua banda di drogati, poi si vedrà. E guai a chi si mette in mezzo.

L’Ucraina doveva essere il trentunesimo stato della Nato, l’Alleanza atlantica nata nel ’49 che da difensiva è divenuta il braccio armato del nuovo ordine mondiale, con buona pace dell’Onu, proiettandosi dalla Libia alla Siria, all’Iraq. I suoi missili avrebbero dovuto fare un ulteriore balzo verso est, avvicinarsi ancor più a Mosca. E invece Putin s’è messo di traverso. Dalla parte sbagliata della storia. Come in Cecenia e in Georgia, ha stoppato il nuovo ordine. Salvaguardato gli interessi nazionali anziché i desiderata occidentali. L’ingresso diretto nell’alleanza della prima ex repubblica sovietica non è andato in porto, come la serie d’allargamenti a oriente degli stati già satelliti, buon ultimo la Macedonia del nord – sic – allo scoccare della pandemia, nel marzo 2020. Gli Usa e l’Occidente che si riconosce in esso, gli stati che giustamente Putin chiama vassalli, pagano una politica scellerata. Il vicino mi punta il fucile alle finestre dal giardino di casa e dice di non preoccuparmi, è un amico. Poi mi dà del criminale se reagisco.

Cosa doveva fare Putin? Continuare bellamente a far finta di niente? Se l’ex macchietta Zelensky, che ha i giorni contati se qualche operazione speciale dei malfidi alleati non lo porterà in salvo – già si vocifera d’agenti, forse francesi, venuti a proteggerlo, visto che dei suoi manco lui si fida – e gli altri avessero avuto più sale in zucca avrebbero fatto come Svezia e Finlandia (che tutti ora tirano per la giacchetta per l’ingresso anche loro nell’alleanza), evitando il matrimonio con la Nato e i missili americani in casa. Invece l’ex comico in mimetica – costretto a finire come Hitler nel suo bunker per salvare la faccia e quel che resta del paese – è un vassallo, appunto. Messo lì dopo il golpe in piazza Euromaidan ai danni di Janukovyc. Dov’erano i sinistri benpensanti, i sinceri democratici che da ogni pulpito ora si stracciano le vesti quando dai palazzi vicini certi figuri facevano cecchinaggio in piazza con gli elmetti delle ss ucraine in testa, riesumati dagli armadi come certi scheletri? Ad esempio quello di Stepan Bandera, non un cantante pop come lascia supporre il nome, con le belle bandiere rossobrune a sventolare accanto a quelle gialloblù ucraine. Meglio stare dalla parte giusta della storia: basta avere un pelo sullo stomaco lungo così, ipocrisia a vagonate, malafede benpagata o una buona dose d’idiozia. Soprattutto, non staccarsi d’un centimetro dal solco del conformismo e del politicamente corretto. Dalla narrazione circomediatica.

Ora il bieco criminale che vuol papparsi l’Ucraina, l’Europa, il mondo, chissà; fare un sol boccone delle libertà e gioie della vera democrazia in maschera, e magari portare i suoi cosacchi ad abbeverarsi ai fontanoni romani – senza più la stella rossa sul colbacco, però – deve stare attento. Non tanto alle pesanti sanzioni, alle minacce del codazzo dei servi e dei lacchè filoamericani. Ché, come ha detto il cancelliere Scholz al premier Johnson, stiamo buoni, se Putin taglia il gas e toglie le riserve in dollari e sterline qui si cena a pane e formaggio e lume di candela. L’Ucraina, del resto, è il nodo dello scontro perché da lì passa il gas del Nordstream 2 così vitale all’economia europea, specie ai tedeschi che difatti nicchiano. L’obiettivo delle “prammatiche sanzioni” era staccare la Germania dalla Russia, dalla possibile e temibile alleanza che solo la follia di Hitler poté troncare. Obiettivo raggiunto.

Piuttosto, Putin deve spicciarsi, fare in fretta il lavoro sporco. La sua guerra dev’essere davvero lampo. Il tempo lavora contro e qualche testa d’uovo della Nato potrebbe cercare una prova di forza sul campo. Già polacchi e rumeni scalpitano, dalle frontiere occidentali rimaste fuori dalle direttrici d’invasione transitano aiuti militari che possono essere il classico cerino acceso gettato nella legnaja. Ma, soprattutto, deve evitare la tentazione, sempre sopita nella gran madre Russia, di risvegliarne l’animo, dare sfogo al panslavismo e alle corbellerie nazionaliste che già impazzano sui media di Mosca. Guardarsi dagli amici oligarchi più che dai nemici, anche se ha mostrato d’essere assai più scaltro e incorruttibile dei suoi predecessori. Ha mostrato al mondo, agl’imbelli occidentali, quanto il loro mondo di gretine e fesserie green & fucsia, trendy e transgender, sia fragile sotto ai cingoli dei carrarmati. Gli basti essersi messo dalla parte sbagliata della storia, aver riportato le lancette di questa all’Ottocento. Con la sua mossa ha messo fine al mondo unipolare dell’ultimo trentennio, dando la stura al mondo multipolare del futuro: per gli Usa e i suoi vassalli è suonata la campana a morto ma non cederanno senza combattere, tutt’altro. Ma l’Occidente, a differenza di Putin, non deve temere nulla. Noi siamo dalla parte giusta della storia.


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