
Giorno verrà in cui alle persone di una qualche intelligenza sarà tolto il diritto di parola per rispettare il pensiero degli imbecilli, cioè della maggioranza, in nome della tolleranza. Così profetizzava Dostoevskij, un pajo di secoli fa.
Giorno verrà in cui alle persone di una qualche intelligenza sarà tolto il diritto di parola per rispettare il pensiero degli imbecilli, cioè della maggioranza, in nome della tolleranza. Così profetizzava Dostoevskij, un pajo di secoli fa.
La prima cosa giusta l’ha detta lo speaker del G7 al termine della riunione d’urgenza, quando già i missili fioccavano sull’Ucraina: Putin si è messo dalla parte sbagliata della storia. Poi tutti a sanzionare di brutto il barbaro moscovita.
Pareva la fine del mito vaccinista, e invece no. La tragica fuffa Astrazeneca s’è presto involata, Draghila s’affretta a dire che tutto riparte come e più di pria, “lo stato c’è e ci sarà”, come alla sceneggiata televisiva a reti unificate della giornata delle vittime del coronavirus e su certe scritte sulle autostrade: Dio c’è.
Distratti dal coronavirus e dalla caccia a Salvini, i media italioti non si sono accorti d’un paio di fatti che ci riguardano da presso.
Al di là dei nuovi poteri che la Duma gli concederà, altre sono le paure e i pericoli per l’Occidente.
Neanche il tempo d’affossare la fake proof del caso Skripal – che, pare, gode di ritrovata salute con la figlia in quel di Salisbury – che una ben più consistente fake news a base di gas nervino riesplode in Siria, a rischio d’affossarci tutti.
L’uomo è lì, tronfio e imbolsito, più simile a un pippobaudo che all’icona del duro costruita in un ventennio di potere quasi assoluto. Neppure troppo virile col suo cappuccio di pelliccia nel gelido inverno russo, ma più che mai vincente.
Ebbene sì, ci siamo sbagliati. Pensavamo che a un uomo d’affari – meglio, un affarista – non piacesse la guerra. Anche se gli affari grossi si fanno grazie ai conflitti, quelli certi si fanno con la pace, e l’uomo ci pareva, con tutti suoi difetti, pragmatico quanto basta per non pigiare sul bottone rosso dell’opzione militare.
La sagoma scura del carrarmato campeggia sulla copertina rossa, tra le fumate delle granate, bianche come il titolo: 2017, war with Russia. Sugli scaffali delle librerie londinesi, dov’è appena uscito, fa un bell’effetto, con quei caratteri grandi e un po’ retrò, stile anni ‘70.
A raccontarla meglio sono le vignette. Quella di Patrick Chappatte, illustratore francese di base a Genova, dove un tank turco infila il cannone sotto la sabbia, a suggere petrolio, mentre Kobane brucia. O l’altra dove un Erdogan mascherato da ladro promette aiuti ai siriani mentre fa bottino dei loro beni.