Football come back to Rome Belpaese

Mancini che pare in preda a una colica dopo una festa. Chiellini che ghigna com’avesse una paresi. Entrambi a reggere la coppa baciata dal sole, nell’alba dorata di Fiumicino. Mi piace vederla così la vittoria degli Azzurri. Strameritata, ai rigori. Immagine di rito che la dice lunga, più di tant’altre di questa finale d’Europeo. Più degli allucinanti balletti in mascherella, nera e multicolor, del prefinale; più del sincopato negretto – fulgida imago dell’Europa trasnazionale preda del politically correct – chissà perché smascherato, che regge la coppa infiocchettata di tricolore col passo solenne del necroforo.

Mitici inglesi. L’Italietta l’ha mazzolati in casa loro, in quel di Wimbledon dove s’è scatenata la caccia all’italiano da parte di certi pagliacci che sputano sull’Europa, briachi e altezzosi come se il mondo fosse ancora roba loro, mentre sta scappando di mano pure ai cugini d’oltreoceano. Fischiano l’inno altrui e danno lezioni di bonton all’ora del tè, tra un tuffo di Sterling e un rutto. L’Italia ha vinto, mettendo all’angolo i figli spuri dell’Inghilterra e la loro quinta colonna tra le file italiche, lo smobilitato Immobile.

S’è ricacciato in gola al principe e alla masnada nobiliare fuori luogo e tempo massimo il sorriso ebete, alla plebaglia cialtrona urla e fischi. Peccato che la tivù di reame non abbia regalato in mondovisione l’augusto volto della regina al momento del trapasso, neanche la caccia all’incursore solitario e i visi truci dei regi sconfitti. La repubblica ha battuto la monarchia, come nella primavera di tant’anni fa. L’indomito Bonucci offre consigli culinari agl’isolani: magnate pastasciutta, ancora. Che gusto. Che bellezza.

In certi momenti e con certa gentaglia vien voglia d’essere nazionalisti. Gettare le stampelle di Spinazzola al vento – al nemico? – come il povero Toti. Sventolare il tricolore come sulle ridotte di Giarabub e le dune di Beda Fomm, a vendicar le batoste della perfida Albione. Meglio applaudire e godersela, alla faccia del calcio come colonna portante dell’ideologia capitalistica e spettacolo oppiaceo per antonomasia. Poi basta, la fregola nazionalista dura il tempo d’una nottata, la sbornia passa e la retorica di regime torna ai temi sobri della crisi d’astinenza pandemica. Intanto godiamocela. Viva l’Italia. Football come back to Rome.


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