Idee da rigenerare Scrissi d'arte

3deb03e3-9222-4eeb-a10b-b2ce519b06c5Locandina quadro rubato

Il quadro rubato: storia vera e un po’ fantastica sui Girasoli di Schiele e l’arte degenerata in un film Pigliate casa. A una certa scendete in cantina per buttare le carabattole del vecchio proprietario. Tar le cianfrusaglie trovate un quadro, bello grosso, con un mazzo di fiori mezzo appassiti, morituri. Niente di che, ma neppure malvagio. Fa tappezzeria. Lo tenete in camera per anni, finché un amico scopre che quel dipinto è famoso, un capolavoro. Sequestrato dai nazisti al proprietario ebreo e finito, guarda caso, a casa vostra, ché il vecchio padrone era un collaborazionista. Parte da queste premesse Il quadro rubato di Pascal Bonitzer. La vicenda, reale e un po’ fantastica, dei Girasoli di Egon Schiele. Il dipinto, del quale l’artista realizzò diverse versioni dagli anni dieci del secolo scorso alla prima guerra mondiale, rappresenta appunto un mazzo di girasoli in fioritura, alcuni in boccio ma già vizzi, a rappresentare le giovani vite spezzate nella guerra mondiale ma forse, più semplicemente, la compresenza di vitalità e morte nello stesso momento, nella vita di ciascuno.

Il tema, piuttosto in voga al tempo da Monet a Gauguin, dal celebre dipinto di Van Gogh a Klimt, da Mondrian a Escher, ebbe anche nel pittore viennese un estimatore e interprete. Il quadro in questione venne trafugato dai nazisti insieme alle tante opere racchiuse nella dicitura d’arte degenerata e scomparse nel mattatojo della seconda guerra mondiale per riapparire a casa d’un giovane operaio a Mulhouse, in Alsazia. Il ragazzone – Martin, interpretato da Arcadi Radeff – vive con la madre e, a dirla tutta, è un po’ sempliciotto. Ma onestissimo. Al punto che quando scopre la verità sull’opera e la sua provenienza, s’offre di restituirlo agli eredi senz’alcun compenso. E qui entra in gioco il sistema dell’arte, le case d’asta e il giro di zeri da capogiro. A tenere le fila della vendita è André Masson (Alex Lutz), banditore della casa Scottie’s, coadiuvato dalla matura ex moglie Bertina (Léa Drucker) e dalla giovane stagista Aurore (Louise Chevillot), tipa un po’ stramba, una famiglia disastrata alle spalle e la propensione alla menzogna, ma a suo modo verace e abile.

I dialoghi, efficaci e veritieri, sono tra i punti di forza del film, come la ricostruzione dello spirito del demimonde artistico. A far da contrappunto al bel mondo dell’arte coniugata all’alta finanza, lo scialbo ambiente operaio della provincia francese, la normalità di chi si vede proiettato di botto alla ribalta della celebrità, tra fiumi di denaro. Bonitzer tiene bene le redini dei suoi personaggi, credibili come i dialoghi, a parte qualche sbandata in curva e di maniera – l’applauso a scena aperta dei magnati all’operaio; il bacio saffico buttato là, come il finale un po’ anodino e buonista – ma nell’insieme il film si fa apprezzare anche da chi è estraneo al nicchioso mondo dell’arte. Non a caso, all’anteprima dell’opera distribuita dalla Satine film – vedi sale in locandina – a Milano e al cinema Lux di Padova, gestito dal circolo d’appassionati capeggiato da Ezio Leoni, ne è scaturito un bel dibattito. Vedi il trailer https://www.mymovies.it/film/2024/il-quadro-rubato/trailer/

Infine, due parole sul tema dell’arte degenerata che fa da fil rouge alla storia del ritrovamento. Arte degenerata – entartete kunst – è il titolo d’una mostra omonima, curata da Adolf Ziegler – di fatto il massimo esperto nazista in tema d’arte figurativa – inaugurata a Monaco nel 1937, l’indomani dell’apertura della mostra sull’arte ufficiale nel capoluogo bavarese e contraltare di questa. La mostra, itinerante nelle maggiori città tedesche e austriache, dopo la forzata unificazione dei due paesi, riscosse un enorme successo di pubblico non pagante, se non di critica, e fu vista da un numero infinitamente superiore di persone rispetto all’altra, ottenendo da questo punto di vista un esito forse opposto ai desiderata. Nel corpus d’opere raccolto per essere messo alla berlina del buon gusto e della moda d’allora, circa 650 opere di oltre 250 artisti, figurano molti bei nomi che sarebbero finiti tra i canoni della modernità.

Non Schiele né i suoi Girasoli, spersi nel tritacarne della guerra e della caccia all’arte considerata degenere. Anche se l’artista viennese e la sua copiosa opera rientravano a pieno nell’accezione di questa. Del resto molti artisti considerati assai degeneri – uno fra tutti, Picasso – non erano estranei a frequentazioni naziste, anche se d’altre idee e impegno. Fatto è che l’arte degenerata è tutt’altro che un’invenzione nazista. Affonda le sue radici nel clima delle teorie evolutive e razziste sul finire dell’Ottocento e, nello specifico, la paternità ascende a Max Nordau, eminente giornalista e filosofo ungherese ebreo. Non uno qualunque ma il cofondatore, con il conterraneo Theodor Herzl, del movimento sionista mondiale. Le sue idee sulla degenerazione dell’arte contemporanea fecero scuola, al punto da essere prese di peso da chi pretendeva rigenerare, con essa, l’umanità e in particolare la razza sedicente superiore.

Tali idee furono espresse in Degenerazione, caposaldo del pensiero di Nordau edito nel 1892. Quale criterio, si chiede l’autore, consente di distinguere il vero genio dallo pseudogenio degenerato? Uno solo, infallibile, a parere del nostro: «Ciò che noi chiamiamo malattia è una condizione dell’organismo in cui le sue funzioni restano al di sotto del loro livello virtuale e in cui vi è pericolo di morte. Questa definizione si applica ugualmente alle manifestazioni letterarie e a quelle artistiche. Ogni opera d’arte nasce da un’emozione e incarna l’ideale, i desideri, le idiosincrasie del suo autore. Questa emozione, questo ideale, questi desideri, sono compatibili con il comportamento normale dell’organismo umano, con la conservazione della vita dell’individuo e della specie? Se sì, essi sono sani; se no, malati». Se qualcosa esalta il vizio e la corruzione, l’orrore e l’errore è dunque di per sé insana e corrotti quanti la propugnano – gli artisti degeneri – dato che conduce a ciò che Nordau chiama il crepuscolo dei popoli, la fine della civiltà occidentale.

Con parole non dissimili si sarebbe espresso Hitler nella sua Battaglia e nel conseguente programma politico: «Compito dell’arte», spiegava il fuhrer al congresso del partito nazionalsocialista a Norimberga, nel ‘35, «non è quello di richiamare segni di degenerazione, di rovistare nella spazzatura, ma di trasmettere benessere e bellezza». Parole chiare, dette da chi in gioventù avrebbe voluto seguire la via maestra dell’arte e si è ritrovato a capo del reich. Altra strada ha preso l’arte, e con essa il mondo che rotola in bilico sull’abisso, come e più d’allora, e forse sarebbe l’ora di dare la stura a un’arte rigenerata e rigeneratrice, più che degenerata o à la page. Ché, come diceva Altan in una sua celebre vignetta, “ci hanno messo in testa idee che condividiamo”. Ecco, sarebbe il caso di toglierci dalla testa qualche impostura, ragionare in libertà.

Sopra: la locandina del film e un momento del dibattito al cinema Lux di Padova. In alto: i Girasoli dipinti da Schiele nel 1914


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