La Siria al voto, la pace al palo La guerra infinita

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La Siria è andata al voto per la seconda volta dall’inizio della guerra civile, ma non se ne parla. Quasi cinque milioni di persone hanno votato, sui quasi nove di aventi diritto, in 10 delle 14 province del paese in guerra da cinque anni, eppure la notizia è passata sotto silenzio. Sarà perché il partito unico del presidente Bashar Assad ha stravinto, conquistando 200 seggi su 250, ma tutto ciò non ha nulla a che vedere con la democrazia. Quella veicolata sulle ali dei bombardieri o manipolata nelle piazze da Gene Sharp, teorico della primavera araba mai sbocciata a Damasco. Perciò l’Onu fa spallucce, non riconoscendo il voto di metà aprile che ha riconsegnato al partito Baath la maggioranza assoluta del parlamento, riconfermando il presidente siriano sul suo scranno. Una vergogna organizzata da un regime oppressivo, strilla il ministro degli Esteri francese. Una passerella, mica la guerra senza quartiere al califfato promessa dalla Francia, con esiti più risibili dei bombardamenti Usa. Che, mentre i colloqui di pace a Ginevra sono interrotti e la tregua è una burla, non hanno perso tempo ad armare i ribelli di Aleppo – via turchi e sauditi – coi nuovi missili antiaerei portatili che hanno buttato giù qualche aereo russo, e armi proibite usate contro i curdi a nord, compresi proietti a iprite.

Dopo la riconquista di Palmira e la fine dell’assedio di Aleppo, la Milano siriana, polo industriale saccheggiato dalle forze speciali di Erdogan, pareva questione di giorni. In poche settimane l’esercito di Assad avrebbe potuto occupare Raqqa, spazzando via miliziani e capetti del califfato sotto botta e in fuga, e di questo in Siria si sarebbero perse le tracce, entro l’estate. Russi e iraniani hanno addirittura proposto ad americani e francesi di dare assieme la spallata finale sulla capitale dell’Isis, così da fare fifty-fifty e non rimetterci la faccia. E invece La capitale del califfato che con le sue bombe mette a ferro e fuoco ben oltre le sabbie siriane, il cuore dell’Europa, continua a essere il baubau dell’Occidente e gli estremisti islamici sono alla controffensiva a due passi da Latakia, mentre Aleppo resta sotto le bombe delle opposte fazioni, la pace è al palo e la tregua è una farsa. Singolare strabismo quella della Casa Bianca, per non dire dell’Onu. Che misconosce l’esito di elezioni più o meno libere in una guerra armata, neanche troppo sotto banco, dagli alleati sedicenti nemici del terrorismo ma suoi sponsor. A dare la linea è intervenuto Netanyahu, deus ex machina del conflitto sirico, in un consiglio dei ministri tenuto nel Golan. Di là dal confine non cambierà nulla rispetto alla situazione attuale, una Siria spezzatino, come già l’Iraq, l’Afghanistan e la Libia, a patto che si riconosca la sovranità israeliana sulle alture siriane occupate dal ‘67. Come dire, pari e patta signori, la guerra continui.

Un vecchio, intramontato adagio recita: dagli amici mi guardi Iddio che dai nemici mi guardo io. Deve aver pensato questo Assad, ascoltando il premier israeliano mentre riarrotolava sul tavolo i piani dei suoi generali per il rush finale contro lo stato islamico, alla notizia che la Nato si prepara a intervenire sul campo per dare la spallata finale all’Isis in Siria. In pochi mesi è accaduto l’impensabile, nel crocevia della guerra infinita in Medio Oriente. A settembre, appena pochi mesi fa, prima dell’intervento russo il presidente siriano era alle corde, dopo cinque anni di guerra civile seguita a una mancata primavera araba. Poi i russi hanno iniziato a fare la guerra davvero ai tagliagole del califfato e di Al Nusra, sparecchiando i traffici turchi e sauditi con l’Isis.

Sulle macerie di Palmira appena riconquista, e con Aleppo prossima a una liberazione che tarda a venire, nuovi scenari si aprono sul fronte siriano e i burattinai della guerra si vedono costretti a correre ai ripari. Palmira è libera, grazie alle milizie hezbollah e iraniane che l’hanno riconquistata per conto di Assad, con l’ausilio dei reparti speciali russi, gli spetsnaz. Sulle ali dell’entusiasmo, le forze del ricompattato esercito siriano studiano l’offensiva finale contro Deir Ezzor e Raqqa. Di contro, l’invincibile armata del novello Saladino è sulla difensiva, in rotta mentre i suoi mercenari coi tatuaggi della Us Navy e la stella di David in bella vista si squagliano e tutti, dalla Cia all’Ondus – l’osservatorio per i diritti umani in Siria portavoce dei ribelli antigovernativi, sul libro paga dei servizi di Londra – sottolineano come l’Isis sia alle corde e occorra fare presto per dargli la spallata finale. Prima che non ci sia più niente da buttare giù e la creatura mediatica che terrorizza il mondo, partorita fuori dalle madrasse, si squagli come neve al sole. Già a metà febbraio, a Bruxelles gli stati maggiori Nato discettavano su come mettere congiuntamente & finalmente piede in Siria. Poi a Bruxelles sono scoppiate le bombe, e l’evento catalizzatore ha spinto persino il Belgio a mettere a disposizione i suoi sei bombardieri per l’Alleanza che dovrà schiacciare una buona volta la testa al serpente che morde l’Occidente. Il Pentagono tuona: l’Isis ha perso il 40% dei territori, si faccia presto. Bassad trema. Dagli amici dei suoi nemici lo guardi Dio, quale esso sia e quale sia l’esito delle urne.


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