Unplugged, il festival Scrissi d'arte

La magia di Capossela inaugura la prima rassegna musicale nel parco archeologico dell’Appia antica

Piglia un villone della Roma imperiale: quello dei fratelli Quintili, al V miglio dell’Appia antica. Quelli fatti scannare per invidia e crudeltà da Commodo che ne occupò l’immensa proprietà, imponente al punto da definirsi “Roma vecchia” ancora sui catasti ottocenteschi. Piglia un aèdo dei tempi nostri, mastro d’opera fina, canora e letteraria: Vinicio Capossela. Mettili insieme sul far della notte, a far d’apripista al festival Unplugged. Già questo basterebbe a dare senso, e gusto, alla prima rassegna musicale che sbarca su queste lande spazzate dal vento autunnale, a mezzavia tra l’Appia che menava a Brundisium e di qui all’Oriente e quella moderna. A dispetto del nome, infelicissimo, Unplugged – scollegato – che avrebbe inorridito Paolo Monelli, e rifà il verso al programma ideato su Mtv, la tre giorni inaugurata al parco archeologico della “regina viarum” celebrata da Paolo Rumiz in un bel libro, compartecipato dallo stesso Vinicio, è felicissima.

Capossela, anzitutto. A guittire e irretire coi suoi vezzi e le sue moine sonore la platea, enorme alla faccia della brezza notturna e delle folle sorciniane raccolte al Circo Massimo, punzecchiate qua e là dal nostro. Il menestrello d’Hannover ha alzato subito il livello della serata e dell’evento, sfiorando toni mistici in alcuni dei suoi pezzi più celebri, ma anche in qualche tocco inedito. Vedi l’“Ariosto governatore”, omaggio al poeta ai tempi del suo governatorato in Garfagnana per conto degli Estensi, dove al riparo delle mura di Castelnuovo si diceva quasi ostaggio d’una terra di lupi e briganti. La magia di sempre, la messinscena caposseliana, resa persino commovente dal fondale luminescente dei resti delle terme imperiali. Qualche cedimento ai richiami del rito elettorale e al macello ucraino, ma le note di “Quo vadis homine”, come titolava lo spettacolo, non potevano dar lustro migliore a un appuntamento raro di suo.

Il festival acustico al parco dell’Appia è infatti un evento scollegato nel nome ma collegato nei fatti al luogo, uno “spettacolo secondo natura”, come recita il sottotitolo della manifestazione, omaggio al “genius loci”, allo spirito del luogo e dei resti d’una civiltà. Non a caso è nel calendario delle giornate europee del patrimonio sostenibile, che in questo caso non è solo parola di tendenza e vuoto formato. Dopo Vinicio percorrono i basolati dell’Appia una pletora d’artisti di livello, sensibili al tema. La P-funking band nel pomeriggio del sabato, in un concerto itinerante tra la villa di Massenzio e quella dei Quintili. Gegè Telesforo per una puntata del suo tour sempre in villa, in serata. E ancora, tabla e violini del trio Trilok Gurtu & Archè String, all’alba di domenica; una passeggiata – gratuita – per il parco con Ascanio Celestini nel pomeriggio e, a chiudere, Maria Pia De Vito con le musiche di “Dreamers”, domenica sera. Info, prenotazioni e biglietti su: romaunpluggedfestival.it


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