Arrivederci, maestro Le parole sono pietre

Chissà che gli ha detto Dio, alla fine, quando se lo è trovato davanti. Lui che l’aveva trattato a pezze in faccia fino all’ultimo libro, quel Caino appena edito da Feltrinelli che è l’ultimo suo capolavoro, accusandolo d’essere peggio del peggiore degli uomini. Caino, appunto. Un poverocristo come tanti.

Ma è vero ciò a cui si crede, e a Dio – l’aveva detto e ripetuto più volte – José Saramago non credeva, da ateo militante qual era. Così, coi suoi 87 anni lasciati quest’oggi dopo averli trovati il 16 novembre del 1922 ad Azinagha, un paesino dell’Alentejo polveroso e agreste del Portogallo più interno, se la ride. Anche se non dall’alto dei cieli e neppure quaggiù. Forse da un qualche altrove riservato ai miscredenti di genio osserva questi povericristi che dabbasso s’arrabattano per campare credendo di vivere. Fino all’ultimo ha combattuto, Saramago, dicendo la sua con le sue memorabili opere o nel suo blob contro gli intoccabili di ogni landa: fino a quando, o Berlusconi, abuserai della nostra pazienza, catilinava non molto tempo fa il romanziere che si è spento stamani. E ancora il radicale antifranchismo, le sue prese di posizione antisraeliane: non è che agli ebrei può essere perdonato proprio tutto quello che fanno a motivo dell’olocausto, diceva.

Era un pensatore geniale quanto scomodo l’uomo che oggi ha lasciato questo mondo e a questo mondo, alle folle dei suoi ammiratori e a quanti lo ignoravano, ai tanti estimatori e ai molti nemici, oltre trenta opere tra romanzi, pamphlet, testi teatrali e poetici da custodire gelosamente (gli uni) o mandare al macero (gli altri). Come avrebbe voluto la chiesa e i picchiapetto di tutto il mondo uniti ai tempi della nuova crociata contro il Saramago ateo e blasfemo. Ché le sue opere, a partire dal Vangelo secondo Gesù, del Memoriale del convento e, appunto, di Caino, mal si adattano ai tempi della risorta inquisizione e dei cervelli in pappafumo.

Così José se la ride, dei suoi critici e anche di noi, un po’, che l’abbiamo amato e, considerandolo immenso, abbiamo cercato di carpire dalle sue pagine il segreto di quella letteratura che lo rendeva unico, inimitabile, fatta di storie spesso strampalate e periodi surreali, vicende dolorose e comiche, allegorie dell’umano vivere magnifiche e tragiche come la stessa vita. José se n’è andato, e non abbiamo potuto stringergli la mano un’ultima volta, ché la malattia da troppo lo teneva lontano dall’Italia, confinandolo nella sua casa di Tías, alle Canarie, ritrovo di lusso dopo l’abbandono del clericalpaese a cui pure ha regalato un nobel, nel 1998. Oggi uno degli ultimi titani della letteratura ci ha lasciato, questo è l’unico rimpianto. Addio, maestro. O forse arrivederci, alle volte quel Dio a cui non crediamo fosse lì ad aspettarci e giudicarci, col suo metro.


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