Il sonno della ragione genera Bergogli Le parole sono pietre

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Alzi la mano chi, dopo i gorgheggi del protodiacono Tauran, quando il nuovo papa s’è avvicinato alla finestra con quel fare attonito, dimesso, con quel sorriso piallato sul volto scarno, non è stato preso dal dubbio che volesse lasciarsi andare nel vuoto. Abbracciare la folla dei fedeli calmanti o, più semplicemente, finirla lì, prima di cominciare. E invece buonasera, se l’è cavata con poco, papa Francesco – guai a chiamarlo primo ché il confratello Lombardi s’incazza – un saluto e una preghiera. Se una ragione c’è, tra quelle che hanno portato al soglio un cardinale di 76 anni, monco di mezzo polmone e in coda alla lista di quasi tutti i vaticanisti, questa risiede davvero nello spirito santo. Fatto è che stavolta Jorge Mario Bergoglio, buon secondo con Joseph Ratzinger, ce l’ha fatta, per grazia di Dio e volontà dei «fratelli cardinali» – Dio vi perdoni, avrebbe detto loro il neopapa.

Nonostante il vociare degli scacazzafogli, all’apparenza tutto può dirsi di Francesco fuorché quella d’essere il tipo tosto e risoluto, il riformatore capace di disincagliare la chiesa dalle secche del Terzo millennio. Ma l’apparenza, si sa, inganna. Tutto può supporsi tranne che uno che teneva bordone ai generali golpisti al punto da tener messa in casa Videla, nemico dichiarato della teologia della Liberazione, in questo in buona compagnia di Ratzinger, possa accendere altro che luci mortuarie sulla chiesa del silenzio. Far dire altro che amen alle madri dei desaparecidos. Ma, si sa, le vie del Signore sono imperscrutabili pure a giorno fatto, figurarsi ora che l’ora è buja. Certo rattrista vedere quanta cura mettano i camerlenghi di turno a officiare il rito della nuova chiesa, a irridere i parlamentari argentini che, Kirchner in testa, alla nuova del papa latinoamericano & compaesano hanno continuato a omaggiare la buonanima di Chavez.

Ma non è un problema dei congressisti della Plata se il paese natale è men che freddo verso il nuovo papa, se tranne i passacarte nessuno crede davvero alla favola del buon pastore, dopo quella del pastore tedesco. Del gesuita amico dei poveri (e nemico di quanti si operavano per loro in altro modo che con la preghiera). Gli è che anche l’emerso dal conclave pare navigare nelle stesse acque dei sommersi nel parlamento nazionale. Un mondo è alla fine – e questo papa pare davvero essere stato pescato alla fine di quel mondo – ma pochi sembrano essersene accorti, compreso un certo numero di cardinali ottuagenari. Il ciarliero arcivescovo Timothy Dolan, però, da New York fa sapere che lui dormirà sonni tranquilli: la chiesa è in buone mani. E se lo dice lui, che tanta parte ha avuto in quest’elezione, ogni fedele può fare altrettanto. Anche perché il sonno della ragione non genera più mostri. Solo bergogli.

Ps. A proposito del perfido caudillo venezuelano, ora che la sua bara è finita sotterra, coperta dagli stracci colorati dei tanti povericristi che l’adoravano (lui sì), portandosi appresso pure le polemiche sul suo assurdo avvelenamento, sui soliti complotti della Cia, finalmente può dirsi la verità sui veri colpevoli. Il Grande puffo o il Bianconiglio, da qui non si scappa. E nessuno tocchi il negretto.


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