Olimpiadi romane, meglio perderle Belpaese
Malagò e Montezemolo con il logo di Roma 2024

Malagò e Montezemolo con il logo di Roma 2024

Il tiro con l’arco ai Fori, con vista sul Colosseo. Dove si terrà la sfilata dei vincitori e il traguardo dei ciclisti, mentre i maratoneti passeranno sotto l’arco di Costantino. E il beach volley al Circo Massimo. È pieno di appuntamenti a dir poco esaltanti il piano per Roma 2024 presentato al Palacongressi dal comitato organizzatore dei giochi olimpici presieduto da Luca Cordero di Montezemolo. Un programma che secondo il presidente del Coni Giovanni Malagò, altro grande sponsor dell’iniziativa, «trascinerebbe l’Italia da un punto di vista culturale e sportivo». Dove non è chiaro, visto che nella partita doppia fra costi e benefici i primi appaiono di gran lunga superiori.

Ecco le cifre snocciolate al Cio, il Comitato interministeriale olimpico dove allignano, tra gli altri, l’inamovibile Franco Carraro (dal 1982) e i sempreverdi Mario Pescante e Ottavio Cinquanta: 2,1 miliardi per gli impianti permanenti (villaggio olimpico, Ibc e press center, arena ciclistica e parco naturalistico, oltre al recupero dello stadio Flaminio e delle Vele dell’archistar Calatrava a Tor Vergata); 3,2 miliardi per gli impianti temporanei e la gestione dell’evento che dovrebbe portare 177 mila posti di lavoro e un impatto sul Pil dello 0,4%, pari a poco meno di 3 miliardi. Tra i ricavi, un miliardo dal Cio e la metà dalle sponsorizzazioni. Se tutto andrà bene finirà in perdita, ammettono gli stessi organizzatori, fedeli alla linea della remissione certa là dove il guadagno è incerto, come recita un vecchio adagio.

In ogni caso si tratta di numeri pronti a lievitare più d’una torta in forno. Non appare inutile ricordare come nel 2011 la commissione guidata dall’economista Marco Fortis, oggi consulente di Matteo Renzi, stimava che per Roma 2020 i costi sarebbero stati questi: 2,5 miliardi per l’organizzazione, 2,8 per le infrastrutture sportive, 4,4 per le infrastrutture di trasporto. In totale 9,7 miliardi. Una cifretta comunque destinata a salire ma che Mario Monti, allora premier, giudicò inopportuno buttare nel secchio, dati i tempi. Oggi a palazzo Chigi non è più tempo di grigi affamatori del popolo, ma di crassi epuloni che vogliono rinverdire i fasti dell’Urbe e ridestare lo spirito italiota a suon di spot, quindi stoppata la candidatura al 2020 si rilancia al 2024. Forti anche del sondaggio richiesto all’Ipsos dove più di tre italiani su quattro sarebbero favorevole ai giochi romani. Dati rilanciati e gridati dal premier in persona a Losanna: «Roma aspetta, il 77% degli italiani vuole i giochi» (solo il 66% a Roma, di più in provincia, curiosamente). E mentre Roma – ma l’Italia tutta – aspetta, si profila un referendum antiolimpico, patrocinato da un fronte che va dai semprevivi Radicali al redivivo Fassina, in attesa che si decida nel settembre 2017, che ha già un sito: referendumroma2024.it.

Che la capitale abbia bisogno di tutto fuorché di mega opere a perdere appare chiaro ai più, alla faccia di sondaggi farlocchi, ma non agli sponsor di una candidatura olimpica dove, con Roma, restano in lizza Parigi, Los Angeles e Budapest. Amburgo s’è già ritirata, per i costi eccessivi. Ma si sa che i tedeschi badano al soldo, non hanno le mani bucate come certa gente. Roma no: deve ancora pagare gli espropri per le Olimpiadi del 1960, dare un senso a due megaopere incompiute o da riqualificare come le Vele e il Flaminio; non riesce a portare la metro C – che nei piani del piano dovrebbe giungere a Tor Vergata – in centro e paga lo scotto della chiusura dei cantieri; s’è ridotta a far ripulire da Della Valle il Colosseo con le ramazze di saggina ma ai giochi olimpici non rinuncia. Su terreni e strutture in odor d’Olimpiadi – Tor Vergata versus Flaminio-Salario – s’è pure consumata la strisciante rottura tra Marino e il premier, nonché segretario del già partito di riferimento dell’ex sindaco, poi esplosa a furor di scontrini. Ma qui, vista l’aria che tira sulle prossime amministrative, beato chi c’arriva al 2024. Corre il rischio di finire prima il nuovo stadio della Roma atteso – anche qui, a furor di popolo, oltre che di Pallotta e Parnasi – a Tor di Valle. Altro ecomostro inutile, se non lo fermeranno prima le indagini della magistratura sull’area legata all’ex ippodromo.

Eppure, a scorrere le statistiche, nell’ultimo mezzo secolo nessuna Olimpiade ha portato profitto in nessun angolo del mondo, al massimo la socializzazione delle perdite, ripianate dai contribuenti. Conti in rosso da Grenoble 1968 a Londra 2012 (costate la bellezza di 12,3 miliardi d’euro, sui 3,3 preventivati), passando per Torino 2006 (dove il buco è poco meno di un milione e gli impianti stanno lì, sotto utilizzati e manco sotto la neve) e uno sforamento dei bilanci in media del 200%. Solo i cinesi sono stati bravini: a Pechino nel 2008 hanno superato il budget iniziale appena del 4%. A Tokyo, che si è aggiudicata le Olimpiadi bocciate da Monti, non vogliono essere da meno e prevedono di spendere sui 400 miliardi di yen, poco meno di 3 miliardi d’euro. Peccato che con quei soldi nemmeno riusciranno a portare i treni negli aeroporti di Narita e Haneda, ipertecnologici come sono. E l’ideatore del logo s’è pure dovuto ritirare per truffa. Di come andrà quest’anno a Rio meglio non parlare. Il budget iniziale è più volte saltato fino a sfiorare i due miliardi di dollari e il parco giochi ancora deve vedere la luce per un buon terzo. Di certo c’è che per mantenere l’ordine pubblico, il Brasile impiegherà 85mila tra soldati e poliziotti, il contingente più grande mai mobilitato, quasi doppio rispetto ai giochi di Londra. Non è ciò che i brasiliani si aspettavano nel 2009, anno della candidatura, quando il paese non era in recessione nera come ora ma si atteggiava a novella potenza. Nessun utile in nessun caso, dunque. Però coi giochi romani il Ponte della Musica, bellissimo e inutile, sarà almeno utilizzato. Auguri, Roma.


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