E uscimmo a riveder le stelle Belpaese

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Il colpo d’occhio sulla mappa elettorale capitolina è impressionante. Roma si tinge di giallo, una macchia enorme. Resta al centro solo una corolla pieddina, cerchio attorniato da una marea gialla montante. L’onda lunga del grillismo ha imbarcato protesta e voglia di nuovo, spazzando via il povero Giachetti e le sue misere speranze di rivincita. Sconfitta tutta mia, s’è affrettato a dire da buon radicalrenzino. Ma pure lui, prono a legare l’asina dove vuole che ragli il padrone, sa bene che non è vero. Chi vede le stelle più di tutti è proprio Renzi. Sa che per lui l’ora è suonata, e ben più grave poteva essere il bilancio se Milano non avesse fatto breccia, concedendo una risicata vittoria a Sala. Il tracollo Pd è generale e Torino ne è il paradigma, nonostante rade Maginot sperse qua e là lungo lo Stivale (Bologna, Varese, Cagliari). Al punto che per il padre padrone di un partito che non c’è più si profila il redde rationem del referendum d’autunno. Cioè, la fine del renzismo. Del partito a immagine e somiglianza del premier. Del partito unico della nazione come solo orizzonte praticabile. Un’ipotesi non più gestibile dal rottamatore in via di rottamazione, anche se resta all’orizzonte della storia. All’altro ex signore e padrone della politica italiana per un ventennio, poveretto, non resta che augurare pronta guarigione e serena vecchiaia.

I pentastellati hanno beneficiato dell’harakiri della sinistra e delle divisioni della destra, ma questo non basta a spiegare le ragioni del successo. Il terzo polo è nato e non è che l’inizio, la fine della seconda Repubblica e del bipolarismo è un fatto non più eludibile. Su di loro pende la spada di Damocle della riuscita, la missione quasi impossibile di restituire a Roma e al paese la dignità d’un futuro possibile. Una scommessa tutta da perdere. Dalla capitale a Torino, a Carbonia, quanti si sono affidati ai grillini per fare tabula rasa e ripartire non potranno che ricevere lacrime e sangue. Senza che gli autori del repulisti annunciato possano aspettarsi premi elettorali di sorta. Un ceto politico immaturo e protestatario, veicolato da intelligenze oscure e blob in deficit di democrazia, com’è stato dipinto finora il movimento, dovrà essere pronto al grande balzo, a governare davvero, per ora nella capitale, domani si vedrà. La bistrattata gente gli ha dato fiducia, e quanto a democrazia interna e malgoverno, nessuno (a sinistra e tantomeno a destra) può dare loro lezioni, a meno di non coprirsi di malafede e ridicolo.

I Cinquestelle, al momento, restano una speranza più che una certezza. Raggi di sole nel deserto della sinistra. I frammenti di questa si mostrano incapaci di un’analisi politica coerente e compiuta. Sempre più distanti dalla gente, si baloccano in una visione distopica della realtà politica e sociale del Belpaese. Un esempio: credere che un movimento di milioni di elettori che si avvia a divenire forza politica primaria e dirigente del paese possa essere eterodiretto da una manina occulta e virtuale, vuol dire azzerare ogni residua intelligenza e compiacersi della propria irrilevanza, aver dimenticato l’abc gramsciano d’una politica che sa rendersi egemone. Manca un’analisi concreta delle proprie inadeguatezze e di quanto ha reso il grillismo un movimento forse populista, certo popolare. Quel popolo a cui la sedicente sinistra ha volto le spalle – infatti resiste solo arroccata ai Parioli e nei salotti buoni – o dimenticato per darsi a battaglie distanti anni luce dall’abc del sociale: casa, lavoro, diritti primari e non appalto d’una minoranza pseudo progressista. Dai Cinquestelle al governo di Roma e d’altrove non c’è forse da attendersi molto, tranne che facciano tabula rasa dell’esistente e affossino la follia delle Olimpiadi e della cementificazione fine a sé stessa, come il nuovo stadio della capitale. Ma oggi uscimmo a riveder le stelle, come diceva il poeta, anche se la natural burella, per dirla ancora col sommo, resta oscura e tutt’altro che finita.


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